Marco Bagnoli, La parola

La Parola (come la Colonna ogni parola nel silenzio una colonna), 1991,

legno dipinto,
cm 392 x 432 x 468.

IO x TE, Magasin Centre National d’Art Contemporain, Grenoble 1991.

Resta, dunque, la Parola.
E’ curioso pensare come la teoria relativistica della luce sia stata enunciata in contrapposizione al suono rispetto al medium di trasporto. Se per il suono, infatti, è necessario il supporto dell’aria per propagarsi, anche per la luce doveva esistere qualcosa di simile, e fu identificato da Huygens nel suo Trattato sulla luce (1690), nell’etere. L’esperimento di Michelson e Morley, dimostrando l’invarianza della luce rispetto a qualsiasi riferimento, mise in crisi questa ipotesi e portò infine Einstein a sbarazzarsi dell’etere come ente inutile secondo il ‘principio di economia’ su cui si fonda la scienza moderna.
Si eliminava così anche il quinto tra gli elementi della scienza antica che, per tradizione, occupava il centro in un’orientazione secondo gli assi cardinali. Si portava a compimento il ciclo iniziato dalla rivoluzione copernicana: riconoscendo nella luce un fenomeno elettroma-gnetico, le si accordava una natura extraterrestre che aveva come riferimento l’universo nella sua globalità, mentre il suono, che ha bisogno di un’atmosfera per diffondersi, restava legato per sua natura a una terra sempre più alla deriva ai margini di quell’universo ridotto da Einstein alla geometria di una bolla di sapone. Il suono articolato, la parola, diveniva allora il mezzo contingente della conversazione tra gli uomini, il semplice tramite di uno scambio d’informazioni. Si può riconoscere in ciò un rovesciamento tipico proprio della scienza occidentale, un scambio tra l’alto e il basso, tra l’interno e l’esterno rispetto a epoche più legate a una Tradizione: poiché in altri tempi la luce di questa vista era ben terrestre, mentre il suono che si esprime nella Parola era luce invisibile alla vista.
Al rumore del mondo si oppone la Parola pronunciata in una solitudine interiore. Ne possiamo trovare una conferma nella Scrittura vedica: “La Parola è quadruplice e questa noi vogliamo insegnare” è detto nella Brhadaranyaka Upanishad: “O Gayatri, tu hai un piede, due piedi, tre piedi, quattro piedi, non hai alcun piede (pad), perché tu non cadi (na padyase). Onore sia al tuo quarto pada, quello che risplende al di là dell’atmosfera illuminata”. Tre piedi corrispondono ai tre stati manifesti della coscienza, mentre il Quarto, o Turiya, è invece, come il Dio apofatico di Dionigi, l’indefinibile che si definisce nella indefinita serie delle negazioni. “Esso risplende al di là dell’atmosfera illuminata”, ossia al di là dell’etere, al di là dell’universo, laddove un suono inudibile e una luce invisibile insieme sono la Parola. Per ellissi proprio questo indica la Gayatri, l’inno vedico di un unico verso – che perciò è anche un “metro” o, se si vuole, una “metrica” – esprimendo nella sonorità dell’inno, lo splendore della luce: Tat Savitur varaniam bargho – Questo della luce mirabile splendore. “Questo verso” afferma la Maitry Upanishad “deve venire meditato da colui che è il Meditante, che risiede entro l’intelletto.”
Ossia solo nel silenzio di un mantra interiore si può giungere alla visione dello splendore del Senza Forma che, stabile ed eretto nell’ascesi del rifiuto, provoca intorno a sé la danza delle ombre. La banda rossa verticale della misura di cinque quadrati, che appare in ogni opera di Bagnoli, è il simbolo visibile di questa permanenza di un Essere che impedisce ogni dispersione. Di essa ha scritto: “Il rettangolo rosso è stato il segno del mantenimento”, e in un’occasione l’ha chiamata “Il campo di cinabro”.
Due sono pertanto i significati da dare al termine “parola”: l’uno è il suono-luce dell’ascesi, e l’altro il mezzo della comunicazione e dell’affare. Parmenide opponeva una parola di verità a una dell’opinione. Anche Eriugena distingueva tra verbum e vox, ma, aggiungeva, proprio nel silenzio è contenuto il clamore e nel clamore il silenzio. Questo è il campo della parola che costruisce il proprio labirinto tra le due polarità del rifiuto e del dispiegamento. Ma, se la differenza si fa estrema e insanabile, non vi si può scorgere un “segno dei tempi”?
Che Bagnoli ponga ora a lato della mongolfiera, in un’esposizione al Magasin di Grenoble, una sua opera che prende il posto dello stagno mercuriale e dell’invisibile asse della visione, non è dunque un caso. L’opera ha forma di parallelepipedo a base quadrata, e supera in altezza lo sguardo di un uomo: il suo disegno rimane nascosto a una vista dal basso. Essendo tuttavia possibile una visione dall’alto, anche se interdetta allo spettatore, la costruzione contiene in sé il punto di vista della mongolfiera che in questo accostamento subisce un’ulteriore trasformazione, e si colloca infine in una posizione metafisica. In tre delle pareti vi sono delle aperture troppo strette perché vi si possa penetrare, ma che generano dei corridoi rettilinei. Si indovinano altri corridoi interni ad angolo retto con i primi per i giochi di una luce che spiove dall’alto. Si intuisce un labirinto interno. Le aperture sono dieci, alcune poste in modo da determinare il formarsi di tre colonne, di cui una d’angolo, posta sulla destra di una delle pareti che assumeremo come frontale. Non contando la colonna angolare comune a due pareti adiacenti, aperture e colonne sono così disposte: nella prima parete vi sono tre aperture e una colonna; nella parete di sinistra ancora tre aperture e una colonna; in quella di destra quattro aperture e una colonna. Ma in questa parete l’ultima apertura genera un corridoio che subito s’interrompe ed è come una colonna al negativo. La quarta parete è invece cieca e oppone un muro compatto alla vista. Questo è l’aspetto manifesto della “Parola”, mentre l’interno è oscura luminosità.
Pascal disse, al tempo delle sue esperienze sul vuoto, che forse la vera natura della luce sarebbe rimasta per sempre senza spiegazione. Einstein diceva invece che lo stupiva nell’universo non tanto la sua inesplicabilità quanto la possibilità di una sua spiegazione. Fra le due posizioni una terza via sarà quella che afferma che proprio nel mistero consiste il segreto del dispiegamento.”
Fulvio Salvadori, Spazio x Tempo, in: Fulvio Salvadori, Scritti per Marco Bagnoli (1985-2004), 2005, pp. 48-51.

Una versione in muratura de La parola è parte costitutiva dell’architettura dell’Atelier.