Marco Bagnoli, Terra delle Madri, 2005

Terra delle Madri,

veduta della mostra.

Quarter, Firenze 2005.

Nello spazio di Quarter gli spettatori, avvicinando l’occhio ad una delle feritoie di due palizzate che coprivano le ampie porte di accesso alla sala dov’era montata l’installazione e su cui era sovrimpressa la scritta IO X TE, scorgevano nella penombra le sagome indecise di cumuli di terra. Al di là si udiva un gracidio di rane. Salendo per una scala a un piano superiore, vi era una porticina coperta da un vetro, rossa per la rifrazione della luce dalla sala espositiva che si poteva vedere in basso e della forma del rettangolo aureo a cinque quadrati, da sempre emblema in tutte le mostre di Marco Bagnoli. Le sagome nella sala inferiore si rivelavano essere campane di misura ineguale ricoperte di sabbia, come se lo spazio fosse quello di una fabbrica dove quegli oggetti sonori erano in gestazione. Il numero era quello di settantadue oggetti disposti a quinconce. Sulla distesa delle campane, posta a mezz’aria, dominava la Campana con all’interno il Sonovasoro, mentre tutta la mostra era riflessa e come assorbita sulla parete opposta da una parabola specchiante.
Ambiente sonoro: diffusione totale e puntiforme di suoni, campane e didjeridu a cura di Giuseppe Scali, alla chiusura della mostra musica e performance di Luca di Volo, Eleonora Tassinari e Roberto Neri. Interviene il monaco Zen Reiyo Zenji (Leo Anfolsi).
Fulvio Salvadori, Opere scelte 1975-2006, in: cat. Marco Bagnoli, 2007, p. 113.

La mostra è stata inaugurata mercoledì delle Ceneri e si è conclusa la domenica delle Palme: un arco di tempo strettamente quaresimale, in linea con il segreto pensiero riposto nel progetto. Per quaranta giorni la mostra è stata visibile solo attraverso le sottili lame lasciate tra un’asse a l’altra della staccionata impegnata dall’astrazione sottrazione spazio per tempo guardando dalla finestra aperta nella parete di fondo della grande aula di Quarter.
Visibile dall’alto l’opera è apparsa nella sua geometria sacrale, come incastonata nel silenzio, nell’immobilità, nella quasi perennità di quel mondo irraggiungibile. Scoperta dal basso attraverso la fessura, étant donné, l’opera si mostra meravigliosamente come luogo magico, tempio segreto, recinto sacro. Mirando oltre la superficie pittorica, se gli occhi non sono stati offuscati da troppi pregiudizi e restarono trasparenti, quel paesaggio di dune e tumuli appare come il giardino del sultano, l’hortus clausus, la terra delle madri. Come per un incantesimo il canto di rane, simbolo alchemico della resurrezione, si moltiplica propagato per infinite volte dentro e fuori lo spazio e i cuori. Il canto addolcisce le tensioni dell’io distendendolo in uno stato di quieta agitazione per aprire tutto l’essere all’ascolto del suono inudibile.
[…]
La domenica delle Palme le porte che occludevano, e tutto e tutti mantenevano a distanza, sono state rimosse e per il giorno intero, fino a mezzanotte, in una specie di rito equinoziale, i visitatori hanno potuto camminare all’interno della sala centrale e appropriarsi della messa in scena di Terra delle Madri. Fra i tumuli di sabbia si è passeggiato tra amici come in un giardino, in un sacro luogo di azione e di commemorazione e di meditazione, di amore e di donazione. Per uno strano caso, la ricorrenza dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme e quello del rito pagano della primavera in questo giorno di festa e di rinascita, dopo il tempo delle madri e della distanza, hanno coinciso liminarmente susseguendosi uno dopo l’altro. L’entrata ha dato il via a un ciclo di rinascita dopo il lungo digiuno. Dopo il deserto è iniziato il tempo dolce e gioioso, il giorno e la notte, ritmati nel cantico dei cantici, i giorni dell’innamorato e della sua amata. Sono i giorni in cui il misterioso amante tiene per mano la sua sposa e da lei si fa toccare. L’ineffabile che si mostra tra i fatti del mondo. Ecco il grande mistero, su cui poco si può dire, ma molto sentire o vedere.”
Sergio Risaliti, DonAzione, in: cat. Terra delle Madri. Land of the Mothers. Marco Bagnoli, 2005, pp. 2-3.